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Qbeta e Solarino, la gioia del fare musica.

Abbiamo intervistato Peppe Cubeta,  frontman della storica formazione dei Qbeta, una personalità squisita che ci ha permesso di sognare ad occhi aperti passando dal Texas fino alla nostra terra. Una storia tutta da ascoltare, leggere ed apprezzare, insieme ad un buon bicchiere di vino! Buona lettura!

 

Cominciamo con la domanda più scontata che si possa fare, raccontami la storia che c’è dietro al nome “Qbeta”… Qbeta

All’inizio della band eravamo io e mio fratello, e non avevamo un nome, suonavamo e basta.. Dopo un po’ di volte gli amici dicevano: “Andiamo in quel locale dove suonano i fratelli Cubeta”, quindi, prima ancora di mettere il nome avevamo la nostra etichetta. Mettere il mio cognome mi sembrava una forma di esibizionismo ed abbiamo storpiato il mio cognome in Qbeta (da Cubeta), volevamo scriverlo con la lettera Greca ma sembrava una marca d’olio, perciò siamo tornati al nome Qbeta tradizionale.

Quando è cominciato il tutto? Qbeta  Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta 

E’ cominciato con l’ascolto di tanta musica, io ho cominciato al contrario, tutti cominciano dal rock per me è stato diverso, cominciai con il Jazz per poi ad arrivare ad altro. Avevo un forte amore per la poesia ed è stato naturale per me scrivere. Ho trovato il supporto di questi miei amici con influenze diverse ed abbiamo cominciato nella mia campagna a Solarino, quando facevamo le nostre feste, suonavamo! Successivamente abbiamo registrato un demo a Pozzallo ed abbiamo partecipato ad un concorso a Firenze in quanto uno dei membri della band si trovava li, il contest si chiama Rock contest, eravamo 500 band in totale, ed abbiamo provato quest’esperienza per uscire da casa ed andare a portare la nostra musica fuori, senza pretese, il fatto di competere non è mai stato nelle nostre corde. Arrivati nella fase finale, eravamo 10 gruppi, alla Flog, e fummo i vincitori dell’edizione. All’interno del concorso una delegazione di Arezzo wave organizzò un tour di quindici date per i Qbeta. Ci ritrovammo in pochi mesi a girare l’Italia, ci confrontammo con diverse realtà e diversi pubblici e da lì capimmo che non ci saremmo dovuti fermare.

Prima non c’erano sale prove a pagamento e chi faceva le cover era visto un po’ “male”, com’ era l’ambiente musicale in cui vivevi all’ inizio degli anni 90?  Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta 

Le cover band erano viste come gente che non aveva molto da dire e cantava le canzoni degli altri, è vero, ovviamente non c’era un mercato delle cover band, si preferiva far suonare gente che aveva un proprio repertorio, ora è il contrario. Prima il proprietario del locale amava la musica e la voleva nel proprio locale al di là dei guadagni che giustamente si devono vedere. Adesso invece la domanda è: “Quanta gente porti?”.

Secondo te, perché è successo tutto ciò? Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta Qbeta

Non lo so, potrei dirti tante motivazioni perché ho pensato a questo, ma credo che la televisione negli ultimi 25 anni abbia distrutto il fermento culturale che c’era in Italia. Tutto quello che è passato e che dovevi mangiarti è passato da lì e continua a passare, fortunatamente c’è il web, ma ancora la televisione è il mezzo di comunicazione più potente. Credo che a combinare tutto questo casino è stata la televisione, la situazione è un po’ sfuggita di mano. In altre nazioni anche se l’andamento è stato questo, tutto questo deterioramento culturale non c’è stato. Siamo fra gli ultimi paesi ad avere una cultura musicale e l’ho capito facendo esperienze all’estero, tre anni fa in Texas abbiamo fatto un festival incredibile, lì ci siamo accorti dal pubblico la loro preparazione musicale. Lì capisci che il grado culturale della gente è molto più alto, in America almeno è così. C’è la mancanza di un rapporto musicista pubblico che prima c’era che è stato interrotto dalla televisione. Non mi viene da dire che la colpa è di Berlusconi. Qualcosa di strano è successo sicuramente.

Per quanto riguarda il discorso Talent? Cosa ne pensi?

Ho conosciuto un’artista uscita da The Voice e mi ha detto: “In pochissimo tempo sono riuscita ad avere più popolarità rispetto a quella avuta in quindici anni, ed ora viene la parte più difficile in quanto sto preparando il mio disco”. Non sto a giudicare i talent, non li sopporto perché esci dalla topaia, entri dalla televisione da un topo diventi un leone ed è sbagliato, non c’è il passaggio di girare e farsi le ossa. L’artista non si forma. Detto questo, è un mezzo per avere più visibilità possibile e sta andando avanti con la sua musica. Questa è la cosa triste, l’artista vede il suo percorso artistico come un gratta e vinci dato dalla possibilità di partecipare ai talent e non più come un percorso.

Sei il terzo artista di Solarino che intervistiamo e mi è stata detta una cosa molto bella riguarda la tua città, alla domanda: “Come mai da questa piccola città escono così tanti artisti validi” e mi è stato detto che probabilmente è merito dei Qbeta, è solo una voce di corridoio o è veramente “colpa” vostra?

Molti artisti di Solarino sono cresciuti insieme a noi, credo che l’esempio di altri possa solamente aiutare, c’erano serate ad hoc organizzate da persone competenti, vedi il Megalithos. In quel periodo gli artisti erano promotori per portare la gente a fare ascoltare determinate cose, io con altri tre ragazzi abbiamo organizzato il “Solarino suono”. Noi Qbeta siamo stati più da esempio probabilmente perché abbiamo avuto più richiamo e la gente ci conosce, essendo stati una band molto fortunata i giovani artisti ci hanno visto come punto di riferimento. Scatta l’immaginario nel giovane musicista. Per questo ci adoperiamo sempre nel “fare qualcosa”, come la sala prove comunale che siamo riusciti a creare! Grazie all’aiuto di tutti e dall’amministrazione abbiamo creato questo luogo d’incontro e di crescita per gli artisti. Adesso la sala esiste da due anni, ed oggi settanta/ottanta artisti suona ogni settimana.

L’esperienza più bella che avete fatto?

L’esperienza più bella è quella che ancora devo fare. Il Primo Maggio a Roma, il Social forum mundial sono state esperienze immense, abbiamo suonato con centinaia di migliaia di persone, anche in Texas, spettacolare. Abbiamo avuto la fortuna di fare cose al di sopra della nostra portata, ci siamo trovati in luoghi pazzeschi.


Noi siamo nati per cercare di cambiare un po’ di cose, anche perché molti si lamentano che a Siracusa non c’è niente ed abbiamo cercato di creare qualcosa per mettere a tacere i piagnistei. Sembra che qui sia tutto fermo e tutti dicono che è meglio andarsene via, hai mai pensato di cambiare il tuo progetto ed andare via?

Ho avuto la possibilità in passato di trasferirmi, in Italia, per fare delle cose. Penso che è meglio andare per fare esperienza per poi tornare. Non ci ho mai pensato veramente perché il modo di vivere che ho è questo, sto bene qui, magari spuntasse qualche grossa occasione probabilmente sarei andato. C’è il discorso della possibilità, tutto quello che noi abbiamo fatto, se l’avessimo fatto a Milano, sicuramente lo sforzo sarebbe stato dieci volte meno dello sforzo fatto qui, ma mi chiedo se artisticamente parlando è una cosa bella o brutta, forse perché mi ci trovo dico che è bella.

Ringraziamo Peppe Cubeta per la sua simpatia e disponibilità e vi facciamo ascoltare un mini live session acustica per Aretusea Magazine.

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Qbeta live acoustic session

 

 

 

 

 

 

 

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