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Vincenzo Orsini – Intervista – Artista del mese

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Abbiamo intervistato il musicista siracusano Vincenzo Orsini, in arte Five Tons Of Flax in vista dell’uscita del suo nuovo disco “Lucid Dream Abduction”.

– Come nasce il tuo progetto?
Il progetto nasce come one man band nel 2010 circa, dopo la fine delle due band con cui suonavo a quei tempi,  ho iniziato a registrare alcuni brani che facevo con loro più alcune cose che erano nate nel frattempo, così è nato “Nebulafobia” nel 2011 ed “Eris Dance” nel 2014, totalmente prodotti, registrati e mixati (con mooolta ignoranza)  da me nella mia camera. Dal 2016 in poi, dopo aver suonato nel progetto industrial rock il Ter3o Occhio, ho iniziato il progetto di un nuovo disco, “7”, che vede l’ingresso di Matteo Blundo, con me negli Elettroelena come violinista verso il 2008 circa. Quest’anno abbiamo terminato il nostro nuovo disco: “Lucid Dream Abduction”.
– Quali sono le influenze che ti hanno ispirato per la realizzazione del disco?

Le influenze sono più o meno le stesse di quelli precedenti: lo psychedelic e stoner rock (Jess and the Ancient Ones, All Them Witches, Telesma, Queens of the Stone Age…); la musica elettro-rock nostrana, come i Bluvertigo e i Subsonica (questi ultimi soprattutto mi ispirano da sempre),ma anche gli Scisma di “Rosemary Plexiglass” e “Armstrong”, i Mariposa e la loro musica meravigliosamente assurda, assieme ai gruppi dimenticati dell’indie rock internazionale come CSS, Shitdisco e i Trail of Dead; la musica elettronica di Nathan Fake e Moderat… In generale l’idea di fondo è sempre stata un crossover tra diverse influenze, solo che in questo disco, ispirandomi agli All Them Witches, ho cercato di essere più succinto ed ermetico nei testi, che per la prima volta nella vita del progetto sono in inglese.

– In un paese quasi del tutto indifferente ad un certo tipo di musica dove trovi gli stimoli per le nuove produzioni?
Io sono sempre stato una persona fortemente egocentrica, credo che l’egocentrismo (quando non sconfina nell’egoismo) sia la soluzione a questo contesto, proprio perché la musica in Italia è affetta da una malattia a metà tra la bulimia e il l’anedonia.
Indubbiamente da quando ho iniziato ad oggi è sempre stato difficile non smettere di fare la mia musica, ma col tempo ho capito che è più importante il valore terapeutico e “sciamanico” del suonare; farlo liberamente ti permette di condividere il risultato con chi è davvero interessato alla tua musica, che sia una nicchia o lo stadio di San Siro riguarda l’aspetto professionale e sociale dell’essere un musicista, ma credo che la musica non si nutra affatto di questo. In questo periodo storico la cosa più importante è il lato umano e “spirituale”, proprio per immunizzarsi contro le assurdità che tocca vivere o sentire quando si fa musica.
– Qual è il tuo processo creativo? Da dove parte tutto?
Mi piace vederla un po’ come Giovanni Lindo Ferretti, che nel documentario sul making of di “Ko De Mondo” li chiamava “stati di grazia”: un’ improvvisazione prende forma, nasce un testo spontaneamente suggerito dalla musica e via. Nel caso nostro lo stato di grazia nasce dal fatto stesso di suonare tastiere o chitarre, registrare riff o improvvisazioni, programmare una batteria o un synth e costruire un pezzo mettendo gli ingredienti giusti. Se non nasce un pezzo nasce comunque il tassello di un futuro brano, che sia una poesia, una linea di batteria, un sample registrato o modificato, il sorgere di una melodia su quel suono fatto mesi fa (che spesso sei tentato a cancellare perché a volte non ti sembra più così figo, mentre altre volte diventa una colonna portante). La sorgente da cui parte tutto credo sia la libertà di suonare qualcosa, con qualsiasi mezzo si voglia.
–  Parlaci del tuo ultimo album. Con chi hai collaborato?
Il nuovo album ha visto la collaborazione di amici di vecchia data come Fabrizio Scariolo e Daniele Marturano, la copertina di Sarà Fornì, già autrice della copertina di “Eris Dance” e il mastering di Stefano Vendramin, che ha curato anche il mastering del disco precedente.
Con Fabrizio abbiamo fatto insieme “An Autumn Day in Tokyo”, uno dei primi brani ad uscire fuori per questo nuovo lavoro, è nata in un pomeriggio (uno di quegli “stati di grazia” di cui sopra!) ed è stata rifinita piano piano da entrambi, fino a diventare uno dei miei preferiti del disco.
Con Daniele invece il lavoro è stato diverso. Prima di qualsiasi altra band io e lui avevamo un progetto che si chiamava “White Floor Circus”: suonavamo con tastiere e chitarra in improvvisazioni che spesso duravano ben oltre i dieci minuti, se non fosse stato per quel progetto probabilmente oggi non farei ciò che faccio. è per questo che ho voluto un suo assolo finale in questo pezzo, con quel mood tecnico ma geniale che ha lui quando si fa prendere da una batteria disco-funky.
– Ci sono particolari differenze tra questo disco ed i passati?
Ci sono due differenze principali: innanzi tutto la qualità è stata curata molto di più rispetto ai lavori precedenti, senza per questo ledere il carattere sperimentale del progetto; il secondo è l’utilizzo dell’inglese: durante le registrazioni di “7” credo di aver fatto l’errore di essere troppo simile ai miei idoli dell’adolescenza (Afterhours, Verdena, Tre Allegri Ragazzi Morti), un aspetto della mia produzione che doveva essere necessariamente modificato,per quanto questi gruppi mi piacciano tuttora iniziava a diventare fastidioso risentire una mia canzone e pensare a uno dei tre… Quindi ho pensato di usare un metodo di scrittura mai usato prima: il cut- up in italiano tradotto poi in inglese. Essendo una lingua decisamente più succinta le immagini che c’erano dietro le parole sono state espresse in maniera più minimale ed immediata. Ho scelto di non usare troppo questo metodo per lasciare alla sola musica la possibilità di parlare. In fondo questo è un disco sul sogno lucido, quindi non volevo renderlo troppo verboso.
–  Progetti futuri?
Sto iniziando nuovamente a lavorare a brani nuovi, ma non saprei dire cosa verrà fuori. Vorrei anche rifare i pezzi più belli dei dischi precedenti per dargli il sound che abbiamo adesso. Certamente i brani strumentali che sono attualmente sul mio Soundcloud li pubblicherò in una raccolta che avevo in mente da tempo, credo si chiamerà “Kaos Core”, ovvero il nome con cui chiamavo il sound che è uscito fuori dal 2013 in poi. Penso di farlo uscire verso la metà del 2020, salvo imprevisti.

 

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Lucid Dream Abduction – Cover

 

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